Rileggere è sempre suonato un po’ male, come se un morboso stallo della mente impedisse di guardare altrove. Rileggere significava mettere radici infide, avviare un moto circolare verso il basso. La norma è risultata valida soprattutto per i romanzi. Riprendere in mano La spia che venne dal freddo, per esempio, mi ha sempre ripugnato: era la paura, credo, d’incappare in una delusione postuma; il pericolo era di far sgretolare una storia che si è appigliata all’immaginario come una delle trame più incredibili del Novecento letterario. Una cosa differente è accaduta invece con Francesco Biamonti. I suoi quattro romanzi, esili e bellissimi, li ho letti di nascosto durante gli inutili pomeriggi passati dentro la biblioteca della Normale (periodo di apatia intellettuale che oggi provoca una rabbia furiosa). Libri presi in prestito, mai posseduti. Così di recente ho trovato in rete Vento largo, prima edizione 1991 Supercoralli. Forse, dei quattro è il più tendente all’astrattismo. Il passeur Varì – uomo di mezza età e desertificato dal mistral impietoso – si mette sulle tracce di Sabel, la giovane e fiamminga Sabel che, senza motivo, un giorno è scomparsa nel nulla. Tra le cime a picco sul mare e la costa provenzale, Sabel rimane il nostro unico legame, la sola speranza dentro un mondo riparato e solitario. L’unico affetto, che diventa un sistema invincibile per la sopravvivenza dell’anima.